Depressione: sintomi e cura

Il disturbo depressivo maggiore, MDD (Major depressive disorder, noto anche come depressione clinica, depressione maggiore, depressione endogena, depressione unipolare, disturbo unipolare) è una patologia psichiatrica o disturbo dell’umore, caratterizzata da episodi di umore depresso accompagnati principalmente da una bassa autostima e perdita di interesse o piacere nelle attività normalmente piacevoli (anedonia). Questo gruppo di sintomi è stato identificato, descritto e classificato come uno dei disturbi dell’umore nell’edizione del 1980 del manuale diagnostico edito dall’American Psychiatric Association.

La depressione può assumere la forma di un singolo episodio transitorio (episodio depressivo) oppure di un vero e proprio disturbo (disturbo depressivo); l’episodio o il disturbo depressivo sono a loro volta caratterizzati da una maggiore o minore gravità. Quando i sintomi sono tali da compromettere l’adattamento sociale si parlerà di disturbo depressivo maggiore, in modo da distinguerlo da depressioni minori che non hanno gravi conseguenze e spesso sono normali reazioni ad eventi della vita con una risoluzione veloce. Tra gli altri disturbi dell’umore che includono sintomi depressivi, si possono citare la disforia che è un’alterazione dell’umore con caratteristiche depressive contrassegnate da agitazione e irritabilità e i disturbi bipolari, ossia quelle patologie dove vi è alternanza di episodi depressivi maggiori o minori con episodi maniacali o ipomaniacali.

La depressione è un disturbo diffuso tra la popolazione generale e quindi ben conosciuto; sembra infatti che ne soffra dal 10% al 15% della popolazione, con una frequenza maggiore tra le donne. Dal punto di vista epidemiologico la depressione è la prima causa di disfunzionalità nei soggetti tra i 14 e i 44 anni di età, precedendo patologie quali le malattie cardiovascolari. Il Disturbo Depressivo è associato ad una elevata mortalità, infatti fino al 15% degli individui con un Disturbo Depressivo grave muore per suicidio. Ciononostante, la maggior parte dei soggetti depressi non arriva ad avere ideazioni suicidarie o sintomi particolarmente gravi, ma lamenta sintomi che spesso non vengono neanche associati facilmente alla depressione stessa (stanchezza cronica, malesseri fisici, apatia, astenia, calo del desiderio, irritabilità, ecc.).

Le cause che portano alla depressione sono ancora oggi poco chiare; inizialmente vi erano due correnti opposte di pensiero, una che attribuiva maggiore importanza alle cause biologiche e genetiche, l’altra a quelle ambientali e psicologiche. Oggi i dati disponibili suggeriscono che la depressione sia una combinazione multifattoriale di tutti i fattori, genetici, biologici, ambientali e psicologici.

Il disturbo depressivo maggiore è una malattia invalidante che spesso coinvolge sia la sfera affettiva che cognitiva della persona influendo negativamente ed in modo disadattativo sulla vita familiare e lavorativa, sullo studio, sulle abitudini alimentari, sul sonno e sulla salute fisica con forte impatto sia sullo stile di vita che sulla qualità della vita in generale. La diagnosi si basa sulle esperienze auto-riferite dal paziente, sul comportamento riportato da parenti o amici e un esame dello stato mentale, non esistendo attualmente un test di laboratorio per la sua diagnosi. L’esordio generalmente è tra i 20 e i 30 anni, con un picco tra i 30 e i 40 anni. Alcuni hanno episodi di depressione isolati seguiti da molti anni senza sintomi, mentre altri hanno gruppi di episodi, e altri ancora hanno episodi sempre più frequenti con l’aumentare dell’età. Il numero di episodi precedenti predice la probabilità di sviluppare un successivo Episodio Depressivo.

La comprensione della natura e delle cause della depressione si è evoluta nel corso dei secoli, anche se è tuttora considerata incompleta. Le cause proposte includono fattori psicologici, psicosociali, ambientali, ereditari, evolutivi e biologici. Gli Episodi del Disturbo Depressivo spesso seguono un grave evento psicosociale stressante, come la morte di una persona cara, il divorzio, il trasferimento, ecc.. Gli studi suggeriscono che gli eventi psicosociali (eventi stressanti) possono giocare un ruolo più significativo nel precipitare il primo o il secondo episodio di depressione e avere meno importanza per l’esordio degli episodi successivi. Tra questi eventi possiamo trovare anche cambiamenti di vita (anche inattesi o improvvisi) o le fasi di crescita e maturazione dell’individuo legati ai normali processi di invecchiamento e a sopraggiunti nuovi ruoli sociali o responsabilità (lavoro, famiglia, figli, nipoti), la malattia di una persona cara, gravi conflitti familiari, cambiamenti nel giro di amicizie, cambiamenti di città. Un ruolo importante sulla sfera psichica dell’individuo sembra inoltre essere svolto dai fattori ambientali e sociali. Non vi sono prove che l’ambiente fisico degradato dove una persona vive possa essere un fattore di rischio, così che uno status socio-economico elevato e l’abitare in un quartiere di buon livello sia un fattore protettivo, ma si è dimostrato che l’abuso e l’abbandono durante l’infanzia sono fattori di forte rischio per lo sviluppo dei disturbi dell’umore perché il forte stress produce influenze in particolare sull’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Problemi nel contesto famigliare, come reiterati conflitti familiari, genitori sofferenti di depressione, grave conflitto coniugale o divorzio, morte di un genitore, o altre problematiche sono fattori di rischio aggiuntivi. Anche problemi generali di vita particolarmente duri come povertà, disoccupazione e isolamento sociale sono noti per essere associati ad un aumento del rischio di incorrere in problemi di salute mentale, tra cui la depressione. Tuttavia, nonostante gli eventi di vita stressanti siano fattori importanti per la depressione, essi non sono gli unici. Infatti è necessario tener conto che soltanto diversi individui reagiscono sviluppando depressione, a differenza di altri, se sottoposti agli stessi eventi stressanti. Fattori di rischio sembrano essere anche i cattivi stili di vita tra cui obesità e sedentarietà.

Gli studi supportano l’ipotesi dell’ereditabilità della depressione, infatti i figli di genitori depressi presentano un rischio più elevato di sviluppare depressione. La maggior parte delle teorie biologiche si concentrano sui neurotrasmettitori monoamine come la serotonina, la norepinefrina e la dopamina, che sono naturalmente presenti nel cervello per facilitare la comunicazione tra le cellule nervose.

Occorre tener presente che l’episodio depressivo non coincide con la diagnosi di depressione maggiore, perché molte persone possono avere altalenanze del tono dell’umore, più o meno marcate, fino ad arrivare al vero e proprio disturbo bipolare, di cui la depressione può essere solo un sintomo, anche se solitamente è quello più sgradito al soggetto, che chiede aiuto in queste fasi.
Vi sono poi forme particolari di disturbo depressivo, come la depressione post-partum, che hanno loro caratteristiche proprie. In ogni caso, è bene tener presente che i sintomi della depressione possono essere talvolta “mascherati”, al punto che nessuno si accorge del problema, talvolta neanche il soggetto stesso, che tende ad attribuirli a normale stanchezza, stress, nervosismo o

Generalmente chi soffre di depressione mostra un umore depresso, una marcata tristezza quasi quotidiana e tende a non riuscire più a provare lo stesso piacere nelle attività che in precedenza suscitavano piacere (anedonia). Le persone che soffrono di depressione, si sentono sempre giù, l’umore ed i pensieri sono sempre negativi e sembra che non riescano più a godersi nulla. Le persone che soffrono di questo disturbo possono presentare altri sintomi “secondari” quali un appetito aumentato o diminuito, un aumento o una diminuzione del sonno, un marcato rallentamento motorio o, al contrario, una marcata agitazione, una marcata affaticabilità e una ridotta capacità di concentrarsi ed infine una tendenza molto forte ad incolparsi, a svalutarsi e a pensare al suicidio. Spesso i parenti spronano chi manifesta i sintomi della depressione a reagire, a sforzarsi e questo atteggiamento, fatto ovviamente in buona fede, tende a far sentire chi ne soffre ancora più in colpa. L’atteggiamento migliore da tenere è quello di aiutare gradatamente il soggetto a riprendere le proprie attività, ad assumere un’adeguata terapia farmacologica ed intraprendere una psicoterapia cognitivo comportamentale, l’unica forma di terapia psicologica che ha dati scientifici di efficacia.

Tipicamente, i pazienti sono trattati con farmaci antidepressivi e spesso, in maniera complementare, anche con la psicoterapia. La terapia cognitivo comportamentale (TCC) è la forma più studiata di psicoterapia per la depressione e tende a insegnare ai pazienti di abbandonare pensieri e pratiche autolesioniste e di cambiare i comportamenti controproducenti. Si è dimostrata molto efficace per la cura della depressione in quanto da un lato si cerca di modificare i pensieri negativi che possono sostenere la depressione (es. si notano maggiormente gli eventi negativi nella quotidianità e si è ipercritici verso se stessi) e dall’altro lato si aiutano le persone a costruire migliori abilità per affrontare le difficoltà quotidiane, che probabilmente hanno portato la persona ad essere depressa (es. insegnare strategie per risolvere i problemi e abilità comunicative più efficaci). La terapia cognitivo comportamentale si differenzia molto da altri tipologie di psicoterapie in quanto è centrata sul presente, sui sintomi della depressione, e tende a produrre soluzioni fattive per i problemi presentati. In questo senso viene dato un peso minore a quanto accaduto nell’infanzia o a quanto gli eventi passati possano incidere sul presente. Un intervento di psicoterapia di successo sembra ridurre il ripetersi della depressione, anche dopo che l’evento acuto è stato risolto o che le sedute sono state sostituite da incontri di richiamo occasionali.

L’ospedalizzazione può essere necessaria quando vi è un auto-abbandono o quando esiste un significativo rischio di danno per sé o per altri. Il decorso della malattia è molto variabile: da un episodio unico della durata di alcune settimane fino ad un disordine perdurante per tutta la vita con ricorrenti episodi di depressione maggiore.

Scritto da Chiara Francesca Girombelli, Psicologa – Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale a Bologna