L’ansia per la salute: riconoscerla e sconfiggerla

L’ansia per la salute (o ipocondria) è una condizione psicopatologica caratterizzata da un’interpretazione erronea delle sensazioni corporee o dei cambiamenti fisici come segnali patologici. Queste persone sono afflitte costantemente dalla preoccupazione/convinzione di poter essere affette o di essere in procinto di sviluppare una grave malattia che porta a comportamenti di monitoraggio delle proprie funzioni fisiche (es. controllare il battito cardiaco o la pressione), controlli del corpo alla ricerca di segnali di conferma della propria paura (es. esaminare i nei), visite mediche ed esami diagnostici ripetuti (es. RM, TAC, elettrocardiogramma). Gli individui affetti da ipocondria arrivano ad essere talmente ossessionati da queste paure che il funzionamento socio-relazionale risulta essere molto compromesso e spesso anche la salute fisica stessa rischia di essere danneggiata realmente da eccessivi accertamenti diagnostici inutili.

Negli anni sono state proposte numerose teorie e modelli esplicativi  per l’Ipocondria e l’ansia per la salute. Ad oggi, però, il modello meglio articolato e soprattutto l’unico sostenuto empiricamente è il modello cognitivo comportamentale che ha portato alla costruzione di un  approccio terapeutico di comprovata efficacia (Salkovskis et al., 2003; Taylor & Asmundson, 2004).

Il concetto chiave di questo modello è che pone al centro della fenomenologia 4 credenze cognitive e cioè:

  1. la probabilità percepita di poter avere un grave problema di salute nel corso della vita (vulnerabilità);
  2. la gravità percepita e la terribilità della potenziale condizione di malattia;
  3. l’incapacità percepita nel saper fronteggiare un eventuale problema di salute;
  4. l’inadeguatezza percepita dei servizi medico-sanitari nel trattamento delle malattie.

Queste credenze portano la persona a interpretare scorrettamente il significato e la pericolosità di  sensazioni o perturbazioni corporee innocue. Tali sensazioni “benigne” possono derivare da diverse condizioni: perturbazioni corporee, disturbi minori, attivazione neurovegetativa procurata dall’ansia o da altre emozioni.

Il corpo umano ricordiamo essere “rumoroso”, particolari sensazioni corporee rappresentano la quotidianità anche per le persone sane (Pennebaker, 1982). I soggetti ipocondriaci, però, tendono a sovrastimare la pericolosità di queste sensazioni.

Studi recenti su gemelli monozigoti e dizigoti indicano che la componente genetica gioca un ruolo modesto nel dare conto dell’origine dell’Ipocondria e dell’ansia per la salute. I gemelli monozigoti e dizigoti, infatti, non ottengono punteggi molto differenti su scale che misurano l’ansia per la salute (Taylor et al., 2006). Le determinanti più importanti sembrano dunque essere quelle ambientali quali ad esempio tutte le esperienze precoci di apprendimento (episodi di malattia, aver ottenuto cure o altri tipi di rinforzo solo se malati, aver osservato figure significative avere a che fare con la malattia) che portano il soggetto a formulare e convalidare credenze disfunzionali sulla propria debolezza e su quanto siano pericolose le perturbazioni e le sensazioni del corpo (Robbins & Kirmaier, 1996; Witehead et al., 1994). Una volta costituitesi, queste credenze possono essere attivate ogni qual volta il soggetto entri in contatto con  informazioni correlate al disagio (sensazioni o cambiamenti del corpo, informazioni dai media ecc.).

E allora perché le credenze disfunzionali si consolidano e persistono nelle persone che soffrono di Ipocondria?

Le ragioni sono certamente molteplici considerato che in primo luogo questi soggetti tendo a sperimentare molti “falso allarme” rispetto alla propria salute, cioè situazioni nelle quali sensazioni corporee spiacevoli da terribilmente terrorizzanti diventano innocue. Queste esperienze a volte hanno il potere di disconfermare la credenza che la propria salute sia a rischio mentre altre volte si verifica il contrario, ovvero l’esperienza viene interpretata in maniera coerente e compatibile con la credenza. In secondo luogo, le persone ipocondriache tendono a mettere in atto comportamenti disadattivi con l’obiettivo di alleviare le proprie sofferenze e paure. Tra i più importanti comportamenti di coping maladattivi vi è la ricerca costante di rassicurazione (dai medici, dagli amici o da altri significativi) oppure tramite il controllo continuo del proprio corpo. Questo meccanismo tipico dell’ansia per la salute è l’attenzione selettiva, ossia il prestare attenzione soltanto agli elementi che convalidano la propria idea e trascurare o ritenere insignificanti tutti gli altri aspetti che portano verso una disconferma della propria convinzione. Questi comportamenti tendono a ripetersi e perpetuarsi nel tempo perché, nel breve termine, riducono l’ansia del soggetto (Lucock et al, 1998), ma purtroppo nel lungo periodo tali comportamenti mantengono in vita il disturbo secondo queste modalità:

  • maggiore è la quantità di tempo che il soggetto trascorre discutendo della propria salute, maggiore è la quantità di informazioni che raccoglierà circa eventuali condizioni mediche gravi e maggiore, di conseguenza, sarà la sua preoccupazione;
  • rivolgendosi costantemente agli altri significativi per chiedere aiuto e rassicurazione, i soggetti ipocondriaci rinforzano un’idea di se stessi in quanto deboli, vulnerabili, fragili e bisognosi degli altri;
  • chiedere rassicurazione ai propri medici circa l’essere o meno affetti da una determinata patologia, espone a maggiore rischio di subire procedure diagnostiche (a volte non necessarie e neppure piacevoli) che acutizzano l’ansia;
  • non poter dare al paziente l’assoluta certezza dell’assenza del disturbo (raramente i test medici sono sicuri al 100% ma lo sono, magari, al 99%), lascia al paziente spazio per dubitare dell’accuratezza della diagnosi medica (“Il dottore dice che il test è negativo ma forse ha sbagliato qualcosa”). Le persone incapaci di tollerare l’incertezza delle diagnosi mediche spesso persistono nel cercare rassicurazione nella speranza di ottenere test o diagnosi che possano fornire dati certi al 100%. Ovviamente, l’impossibilità di ottenere una diagnosi sicura al 100% non fa altro che aumentare la necessità di cercarla.

Come per altri vari disturbi d’ansia, anche in questo caso ciò che compromette maggiormente la qualità di vita è la messa in atto di vari evitamenti nel quotidiano, come evitare di allontanarsi troppo dal proprio paese per timore di aver bisogno del proprio medico, evitare di fare attività fisica per non peggiorare i sintomi, evitare di andare al lavoro quando emerge un sintomo, ecc…

Come uscirne?

La terapia cognitivo comportamentale si è dimostrata ampiamente efficace nel trattamento dell’ipocondria.

Tale intervento prevede l’utilizzo delle tecniche comportamentali di “esposizione” e della cosiddetta “prevenzione della risposta”. È necessario inoltre ridurre il comportamento “da malato”, invitare il paziente a riprendere i ritmi di vita precedenti alla malattia e a compiere attività fisica. Vista la difficoltà di queste persone ad identificare e verbalizzare gli stati emotivi e a distinguere le sensazioni corporee legate ad esse, può essere utile insegnare al paziente le tecniche di rilassamento, per ridurre il livello di ansia e di disagio sperimentate. I cardini di questo approccio sono quelli di far riflettere il soggetto sui costi che ha il continuo proteggersi, sul trovare risposte alternative ai suoi sintomi, sull’accettare di non poter prevenire ed essere responsabile di ogni cosa.


Lucock M.P., White C., Peake M.D., Morley S. (1998). Biased Perception and recall of reassurance in medical patients. British Journal of Health Psychology, 3, pp. 237-243
Pennebaker J.W. (1982). The Psychology of Physical Symptoms. Springer. New York.
Robbins J.M., Kirmayer L.J. (1996). Transient and Persistent hypochondriacal worry in primary care. Psychological Medicine, 26, pp. 575-589
Salkovskis P.M.,Warwick H.M., Deale A.C., (2003). Cognitive behavioral treatment for severe health anxiety (hypochondriasis). Brief Treatment and Crisis Intervention, 3, pp. 353-367
Taylor S., Thordarson D.S., Jang K.L., Asmundson G.J.G. (2006). Genetic and environmental origins of health anxiety; a twin study. World Psychiatry, 5, pp. 47-50
Taylor, S., Asmundson, G.J.G. (2004) Treating Health Anxiety. A Cognitive-behavioral approach. New York, Guilford Press.
Whitehead W.E., Crowell M.D., Heller B.R., Robinson J.C., Schuster M.M., Horn, S. (1994). Modeling and reinforcement of the sick role during childhood predicts adult illness behavior. Psichosomatic Medicine, 56, pp. 541-550

Scritto da Chiara Francesca Girombelli, Psicologa – Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale a Bologna